Camillo Procaccini (Parma 1561 - Milano 1629)
"L'Assunta"
Olio su tela
"The Assumption"
Oil on canvas
114 x 87 cm
Provenienza: lotto 406
Asta di Arredi e dipinti antichi - Oggetti d'arte - Disegni - Incisioni
19/03/2007, Finarte, Milano
Camillo Procaccini, di origine emiliana, è figlio del pittore Ercole il Vecchio e fratello di Carlo Antonio e Giulio Cesare, anch'essi pittori. Milanese d'adozione, si forma nella bottega paterna, ispirandosi ai modelli del manierismo emiliano. La sua prima opera è "S. Giovanni Battista alla fonte", realizzata a sedici anni nel 1577 e conservata presso la Galleria Estense di Modena: si scorgono ispirazioni apprese dai modelli di Raffaello, Michelangelo e Pellegrino Tibaldi. Dopo una breve esperienza fiorentina con il pittore Gian Paolo Bonconti, lo ritroviamo a Bologna impegnato nella cattedrale di cittadina insieme a Bartolomeo Cesi e Giovanni Battista Cremonini. Esce dalle mura cittadine per dirigersi a Reggio Emilia, ove lavora nel presbiterio di S. Prospero, tra il 1585 e il 1587. Nel Giudizio universale del catino absidale, Procaccini coniuga con geniale inventiva echi della pittura di Federico Zuccari con una vena narrativa esuberante grottesca che rimanda a Bartolomeo Passerotti. Nonostante il successo in terra emiliana, il maestro decise di cogliere l’invito del conte Pirro I Visconti Borromeo, trasferendosi a Milano nel 1587 e lasciando incompiuti gli affreschi in S. Prospero, completati solo dopo una decina d’anni. Al suo arrivo a Milano, Camillo opera per Pirro I, tra il 1587 e il 1589, nella decorazione con tematica profana della villa di Lainate. Oltre a questo impegno si afferma come pittore di temi sacri. Porta a compimento a Milano, entro il 1590, l’Assunzione della Vergine già in S. Francesco Grande, oggi presso la Pinacoteca di Brera, nonché la “Trasfigurazione” di collezione Borromeo. A partire dalla fine del Cinquecento, Procaccini appiana la tensione creativa modificando il suo linguaggio, che diviene severo. Infatti, l'artista sposa i canoni controriformati caldeggiati da Federico Borromeo, e diventa uno dei loro massimi divulgatori in chiave pittorica, tanto da influenzare i maestri locali, tra i quali l’esordiente Giovan Battista Crespi, detto il Cerano. Nel primo decennio del secolo l’artista va a Piacenza, dove tra il 1600 e il 1605 esegue la monumentale e concitata “Strage degli innocenti” di S. Sisto. Tra il 1605 e il 1609 prese parte al ciclo di affreschi e tele per l’abside e il presbiterio del Duomo ove opera anche Ludovico Carracci. Nel biennio 1607-1608 riceve commissioni a Lodi, Cremona e Castiglione delle Stiviere. Porta a termine il ciclo di dipinti per la collegiata di Bellinzona, e partecipa alla serie di teleri “Allegorie delle Province Sabaude” per Carlo Emanuele I di Savoia, eseguita insieme a Cerano, Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone, Giovan Mauro della Rovere, detto il Fiamminghino, e al fratello Giulio Cesare. In seguito, opera quasi esclusivamente per commissioni milanesi, con alcune sortite per dipingere “Nascita della Vergine” per S. Maria delle Grazie a Brescia e le tele commissionate per la cappella di S. Carlo Borromeo per la chiesa detta dei “Tolentini” a Venezia. A coronamento di un’intensa carriera, nel 1627 Gómez Suárez de Figueroa duca di Feria, governatore spagnolo a Milano, commissiona a Procaccini due dipinti, oggi perduti, destinati alle collezioni dei reali di Spagna e allestiti nel Salon Nuevo dell’Alcázar di Madrid.
La tela in esame va riferita al suo ultimo periodo di attività. In essa ritroviamo un linguaggio posato e severo, le scelte cromatiche sono controllate nell’umbratile impostazione generale. Le pose degli apostoli, simmetricamente disposti, sono composte malgrado l’eccezionalità dell’avvenimento: tutte peculiarità che ci rimandano al messaggio dottrinale del Borromeo e della Controriforma, che Procaccini sposa nei primi anni del XVII secolo e che lo accompagnerà nei decenni seguenti