A terracotta lion head, GL Bernini's workshop, 1654-57cm 45x35x50. Opera esposta nella mostra "Barocco a Roma. La meraviglia delle arti", Roma, fondazione Roma Museo Palazzo Cipolla, 1 Aprile - 26 Luglio 2015. Vedi: Catalogo mostra: "Barocco a Roma. La meraviglia delle arti" a cura di M.G. Bernardini, M. Bussagli ed. Skira 2015 pag. 288, cat. 103 pag. 391 L’importante e fascinoso brano scultoreo, raffigurante un imponente testa di un leone dalle fauci aperte e la fronte aggrottata, incorniciati da una fulva criniera che ne esalta l’espressione naturalistica, è da considerare opera plasmata attorno alla metà del seicento nella bottega romana di Gian Lorenzo Bernini (Napoli 1598 Roma 1680), in quella che è stata la più importante fucina del barocco italiano ed europeo. Come spiega Daniele Sanguineti nella scheda che descrive l’opera nel catalogo della mostra romana da cui citiamo questo stralcio: "Al di là delle lacune, che rivelano, unitamente a tracce di ridipintura e di malta (oggi rimosse), una travagliata storia conservativa avvenuta soprattutto in ambiente esterno, è leggibile una raffinata tecnica esecutiva. Esaminando gli spessori integri è la sapiente troncatura all’altezza della schiena tramite l’uso del filo, quando la terra era ancora fresca. Lo stesso intervento interessa la parte anteriore sinistra, dove si sceglie di creare una cavità a discapito della porzione finale della criniera. sull’intera superficie sono evidenti, oltre alle impronte digitali, le tracce di svariati strumenti: dagli stecchi alle spatole, ai diversi tipi di gradina fino all’uso della punta per segnare i baffi e per delineare l’iride. L’effetto originario doveva alternare parti estremamente rifinite, ottenute dal passaggio finale di un pennello bagnato soprattutto sulla superficie del muso, ed altre più contrastate, come l’innesto delle ciocche tramite profondi solchi circolari in prossimità degli zigomi e il progressivo incremento con masse molto movimentate sulla sommità della testa. La schiena reca infine a suggerire la morbidezza del pelame, un reticolo di segni ricavati dal virtuosistico impiego dello stecco di sezione ovale, che affonda per imprimere le ultime ciocche di crine, e di due diverse gradine per restituire l’effetto di continuità del manto. Le componenti tecniche descritte a questa stesa texture trovano svariati confronti con le modalità di Gian Lorenzo Bernini particolare (Sigel 2012). In particolare la resa della criniera, ove si scorge anche, per distanziare i solchi, il ripetuto e contiguo affondamento nella creta della punta, è simile alla chioma del Moro nel bozzetto per la fontana in Piazza Navona (1653, Fort Worth, Kimbell Art Museums ) e alla barba di San Gerolamo ( 1661 circa; Cambridge; Harvard Art Museums) in relazione all’omonima statua Chigi destinata a Siena ( Bernini. Sculpting 2012, pp. 171- 177, cat. 13, pp. 257-261, cat. 30). Ma naturalmente confronti pertinenti possono instaurarsi con le modalità, a volte caricaturali e mostruose, degli animali berniniani, basti osservare quella tipica resa tonda e sporgente degli occhi che si riscontra nei cavalli, nei delfini, o appunto, nei leoni. Stima su richiesta
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